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AltaRoma, gli influencer e la Moda

E così chiude anche questa edizione invernale di AltaRoma, tra animalisti che protestano contro l’uso spropositato delle pellicce da parte delle fashioniste – eppure sono tutte ecologiche, e si vede! -, lamentele per la scelta di una location troppo “disagiata”, da una parte, ed entusiasmi per lo stile underground/mitteleuropeo dell’Ex Dogana, dall’altra. Una bella confusione generale, insomma. Come è tipico della Capitale. Eppure anche quest’anno abbiamo avuto la fortuna di apprezzare i giovani talenti creativi vincitori del concorso “Who Is On Next?”, l’incredibile sorpresa della sfilata targata Accademia Costume & Moda, gli splendidi abiti firmati Rani Zakhem e la nuova esilarante collezione di Luigi Borbone, che manda in passerella le modelle con indosso sandali senza tacco impreziositi da brillanti – un toccasana per le amanti delle “pianelle”.

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Bene, tutto come al solito quindi. Ma allora perché la nostra settimana della Moda fatica a decollare? Per quale motivo Roma sembra essere lontana anni luce anche solo dal concetto di “Fashion Capital”? E soprattutto, perché i Milanesi snobbano così tanto la nostra kermesse? Ci ho pensato a lungo. E sono arrivata alla conclusione che Roma funzioni, in tutto e per tutto, come una sorta di macrouniverso. Chiuso in se stesso, e magari anche ben funzionante al suo interno, ma senza la benché minima preoccupazione di quello che effettivamente succede al di fuori. E così vale per i Romani, che vivono in microuniversi tutti diversi tra loro, che hanno però tutti la stessa prerogativa di guardare a se stessi. Immagino funzioni così la nostra “settimana” della Moda, che vede pochissimi ospiti internazionali seduti nelle prime file delle sfilate, a differenza di quanto succede a Milano o in qualunque altra città. Eppure pullula di Romani che accorrono a vedere i lavori di altri Romani, o di stilisti di fama che sono ancora affettuosamente legati alla Capitale.

IMG-20160201-WA0053 (1)Non credo che il problema possa essere nel calendario di AltaRoma – che certo non gode di Maison di calibro mondiale, ma che tutto sommato si divide tra giovani creativi e grandi classici della kermesse -, quanto piuttosto nel suo pubblico. Troppo tradizionale. Troppo Romano. Di poco respiro internazionale. Troppo microuniverso, insomma.
Un assioma questo. Perché se è vero che la fortuna delle cose oggigiorno è data dai Social, che permettono di vedere in tempo reale cosa sta succedendo dall’altra parte del pianeta, a chi spetta mostrare quello che succede sulle nostre passerelle? Chi sono i nostri influencer? E qual è il loro seguito? E soprattutto, viene lasciato loro lo spazio che meritano?

Per invertire la tendenza di una Capitale troppo legata al provincialismo, si potrebbe forzare la mano e rischiare di affidare la rinascita delle iniziative creative e culturali a chi veramente con il digitale ci sa fare. Chiamiamoli influencer o strilloni 2.0, ma riconosciamogli l’importanza che hanno praticamente ovunque. Sono giovani e amanti del design stravagante, figli acquisiti di un’era digitale che fa la fortuna di chi sa sfruttarne i vantaggi, avvezzi alla sintesi dei 140 caratteri dei cinguettii di Twitter e abili esperti dei filtri di Instagram e di VSCO (con annesso dosaggio della nitidezza). Hanno poco a che fare con il microuniverso romano che vive di passaparola, ma hanno il potere di rendere internazionale quello che vi succede. Cosa potrebbe accadere se gli dessimo un posto in seconda fila? E poi in prima?

Photo Credit: Davide Manzoni